Un sabato. Il vento. L’inverno.

Dopo una notte agitata (vuoi per il furto calcistico della sera prima, vuoi per un urlo della Costanza che ci ha spaventato di una possibile recidiva) stamani mattina mi sono svegliato molto presto, le 7.30 circa. Con atipico vigore, mi sono vestito da spedizione sull’Himalaia, vista la gelata fuori, per affrontare, insieme al vicino col suo trattore e a mio suocero, degli attesi lavori negli spazi esterni, ultimamente rimandati a causa del terreno sempre zuppo d’acqua.

Stamani in effetti ha avuto modo di asciugare, vai: il gelido sferzante di Bisarno (in quest’inverno palesatosi per fortuna poche volte) soffiava su di un pallido cielo azzurro. Questa volta niente tradizionale colazione da Remo coi nonni: ho avuto modo però di godermi un cappuccino e un cornetto riposandomi dalle sessione di lavori: spostamento dei sassi, zappare, pulire, raccolta delle pietre più piccole e loro posa accanto al marciapiede, disossamento dell’aia. Il terreno, magrado la sferzante tramontana, era ancora imbevuto di acqua e molte movimentazioni sono state ancora più complicate. Ma proseguite con tenacia e alla fine (era già buio, said le 18 del pomeriggio) risultate in un nuovo ripulito ingresso alla proprietà: tutta la terrra ammontata caoticamente nel davanti è stata spalmata e la scarpatina del confine nord ripulita e ordinata. Anche l’aia è stata smossa, molti sassolini tolti: ancora un po’ di picconate e saremo pronti a piantare l’erba. Giornate come questa mi restituiscono un senso di pienezza. Scorrono veloci, mi concentro in quel che faccio, mi rilasso e mi distruggo di fatica, una fatica sana, catartica, che mi fa star bene e lascia tracce di me, di noi sotto forme che ci sopravviveranno e che sapranno raccontarci.

Francesco