Le Tre Rane – Ruffino.

L’ingresso (con le mie zucche gialle)

Tutto è cominciato quando molto sembrava perso. Marzo del 2019 era un mese strano: Firenze fioriva di bianco, così come i susini selvatici qui a casa. Come il clima, la mia famiglia subiva, e aveva già subito, le bizzarrie del destino. Avevo poche voglie, pochissime emozioni e tante paure.

Dei ravioli speciali. Da cucina di tradizione a cucina di identità.

Quel giorno di marzo, a un tavolo di un ristorante a Campo di Marte – con del buon cibo, un calice colmo, i colleghi giusti – si tiravano somme: Ruffino Cares che aveva portato una idea di bere naturalmente responsabile, ancorata al modo classico di noi italiani di vivere l’accoglienza e lo stare insieme; le pagine del libro “La Toscana di Ruffino” ormai sempre più vive e incarnate nelle nostre iniziative – dal Jazz Festival, alla Piazzetta dei Tre Re, a Cookstock -; i “talk”, le nostre presentazioni su Ruffino, le parole con cui avevamo plasmato, in Italia e nel mondo, le storie del fiasco e del pane sciocco, del primo Chianti negli USA, del bello e del buono che magicamente sanno unirsi, fino agli etruschi, che invece di fare guerre o immolare le lor meglio menti nel culto funebre, si erano preoccupati della vita, del godere quel breve intervallo dal nulla eterno che è la vita, di dargli valore col cibo, col gioco, col piacere, col vino (primi del resto a introdurre la viticoltura in Toscana), quando altrove ancora si ululava truccati di pece a fauci spalancate…

A quel tavolo si parlava di tutto: “Ricorrono i 500 anni dalla morte di Leonardo da Vinci quest’anno”. “L’ho visto vai, Firenze è tutta una ricorrenza, una mostra, uno studio sul genio di Vinci”. “1519? Nasce anche Caterina dei Medici, quella della forchetta e della saporita civilizzazione delle corti europee…”. “Lo sai che dovremmo inventarci qualcosa per far vivere tutte queste storie di Ruffino, vere, belle…la nonna, l’aia, il non si butta via niente, Sofia Loren che viene a farsi le foto insieme alle fiascaie…”. “Ragazzi, sarà anche una leggenda, ma lo sapevate che Leonardo aveva una locanda sul Ponte Vecchio e l’aveva chiamata Le Tre Rane? – guardate, sono giusto usciti questi libri a raccontarlo”. “E Ruffino come è perfetto? E’ proprio il collante di queste storie, il fiasco, la bistecca, un marchio così pop, come un albero dalle radici toscane e i rami e le foglie aperto ai respiri, e ai sapori, del mondo…”. “Oh, ve lo ricordate la parola kalogakathia? Unire il buono e il bello insieme…in questo come italiani siamo dei fuoriclasse…”. “La bellezza, chi ha detto che la bellezza non può essere un valore etico, nutriente, aggregativo – a me la bellezza salva, mi pacifica, mi regala una chiave di lettura”…

Sapori d’autunno in locanda

E fu così che la primavera arrivò. Poi un’estate viva e ubertosa. Saporita e accogliente. Mediterranea e profumata. E una idea da sviluppare, far nascere, partecipata e inclusiva. E col caldo, di nuovo le voglie, le emozioni, quel moto nell’animo, essenziale, vivifico, a contrastare le paure…

E mentre agosto dardeggiava i suoi strali di luce e afa, una squadra di colleghi e amici ancor più grande, al primo piano della tenuta Ruffino di Poggio Casciano, portava alla vita, in due mesi “matti e disperatissimi”, per dirla col ragazzaccio pallido di Recanati, la locanda “Le Tre Rane – Ruffino”, epitome dell’esperienza dei valori di Ruffino: il gusto dello stare insieme sotto il segno del bello e del buono, l’identità toscana (nei cui geni tracce etrusche, rinascimentali, contadine e popolari), una certa attitudine nel rinnovare, nell’aprirsi…

Il tavolo di ingresso

Le Tre Rane – Ruffino hanno aperto il 17 di un ottobre ancora caldo e umidiccio.  Le due sale erano irrorate di una luce magica, in cui i riflessi del soffitto a travi e mattoni, sbiancato e decapato, sul legno venato e materico del parquet, restituivano dei toni color cipria. Dalle cantine sottostanti, il profumo vinoso del primo mosto di una vendemmia appena conclusa, insieme all’odore agrumato della scottiglia in bianco ingentilita con l’arancio Bizzarria che sobbolliva nelle cucine, conduceva gli ospiti a delle madelaine di pranzi della domenica, di richiami severi e saporiti da bambini al desinare abbondante e nutriente della nonna, del paese natio da cui non si è mai troppo scappati. I vini Ruffino, come velluto rubino, vestivano di passione e seduzione gli ampi calici mentre una musica dolce e accogliente di ciarle e risate, di parole e ricordi, conduceva la serata ben oltre l’orario di Cenerentola e della sua enorme zucca gialla (e ai melograni, alle mele cotogne, a fieri cespi di cavolo nero a ingentilire le tavole) che aveva trovato il suo principe azzurro raffinato, semplice, di buon gusto e finanche bravo ai fornelli, con cui intrattenersi, sollazzarsi, perdere quel pallore mortifero, mettere su un po’ di chili, per sempre felice e contenta, fra buon cibo, gli amici che contano e la voglia di stare insieme.

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