La Bizzarria e la rinascita dei Medici

Questa mattina io e Matilde ci siamo alzati ben prima del solito, alle 6.50, per andare a fare un’avventura da un vivaista a Pescia, a caccia di un agrume di cui mi ha raccontato le gesta la prima volta la mia amica Laura Bati. 

Quella dell’agrume chiamato Bizzarria è una storia davvero affascinante che vale la pena raccontare.

E’ una pianta molto rara, riscoperta una trentina di anni fa nella Villa Medicea di Castello, nelle colline sopra Firenze, i cui particolarissimi frutti sono gli stessi illustrati in un testo del Seicento di Pietro Nati, direttore ai tempi dell’Orto Botanico di Pisa, che la classifica come Bizzarria.

Il nome, e la sua storia legata ai Medici, ci permettono di compiere un viaggio nel tempo.

Lo facciamo osservando quei frutti così strani: abnormi, bitorzoluti, con striature arancio, giallo e verdi, di una bellezza completamente fuori dagli schemi del concetto di armonia rinascimentale, dove questo viaggio ha inizio: la Firenze medicea del XVI secolo.

Firenze era nota a tutti per la sua magnificenza: la culla della civiltà, la città degli artisti. Sono molte le definizioni che provano a imbrigliarne la sfavillante epopea.

Una magnificenza che tutti noi amiamo e associamo alle meraviglie architettoniche, artistiche e culturali che la hanno plasmata, ma che in realtà, nella visione socio-politica della famiglia che accompagnò, anzi – guidò, questa rinascita, i Medici, si doveva attuare in tutti gli scibili, in tutti gli ambiti del sapere.

A Firenze e in tutto quel periodo storico che gli storici classificano come Rinascimento l’uomo aveva riconquistato la propria centralità, scrollandosi di dosso la visione cupa e teocentrica del Medio Evo che lo relegava a passiva creatura senza volontà in balia del destino e dell’imprevedibile volere di dio. Homo faber sui, capace di forgiare come un fabbro la sua esistenza, di essere l’arbitro del proprio destino, di poter pilotare le proprio fortune. Un sogno e un approccio che da studente svagato prima e da padre premuroso oggi, ho sempre trovato illuminante. E questa impostazione si applicava in tutte le arti e in tutte le scienze.

Tutti i grandi del tempo, scienziati, artisti, pensatori, attratti da questo approccio fecondo, luminoso e innovatore, si ritrovarono a Firenze, dove, grazie al mecenatismo della famiglia Medici, venivano sostenuti economicamente per creare. Firenze che era già naturalmente bella, col suo fiume, le sue colline attorno e che si dotò in quei secoli di una antropizzazione aggraziata, che si trattasse di una fattoria, di un palazzo in città, di un borgo turrito, di una scultura, di un trattato scientifico, di una dottrina politica o di una chiesa.

I vari membri della famiglia dei Medici esigevano che si eccellesse in qualsiasi ambito. Anche per far brillare sempre più la loro grandezza. Pochi sanno, e in pochi hanno scritto, che i Medici avevano anche una grande passione per le piante, per la botanica, in funzione officinale,  per portare buon odore a una città che, come tutte nel mondo, non aveva ancora sistemi fognari funzionanti ma anche e soprattutto ornamentale.

In quel periodo, grazie ai viaggi di Marco Polo e dei grandi conquistatori, erano arrivati in città dal Medio Oriente e dal Lontano Oriente delle piante splendide, dai profumi elegantissimi e dai frutti buoni e sani, chiamati agrumi: arancia, limone, cedro. Parola di origine latina del XIV secolo: acrumen, condimento aspro. Ecco, i Medici vollero che i grandi agronomi che curavano gli ubertosi e geometrici giardini delle loro proprietà – i proverbiali giardini delle ville medicee, con le limonaie – creassero un agrume di Firenze, inventato a Firenze, una pianta mai vista che avesse le caratteristiche meravigliose degli agrumi arrivati in città ma che fosse solo di Firenze: un Rinascimento la cui epitome non fosse rappresentata “solo” dai capolavori dell’arte ma, in questo caso, anche da un albero di agrumi, il più eccellente, creato a Firenze.

L’idea era la stessa che ha generato innovazione, scoperte, capolavori fuori dal tempo ma, agli zelanti agronomi alla corte dei Medici, qualcosa andò storto. Ancora le tecniche di innesto e ibridazione si basavano su Plinio il Vecchio, Varrone e Virgilio e, pur con grandi mezzi, volontà e i migliori talenti, quello che venne fuori fu una creatura bizzarra, un po’ cedro, un po’ limone, un po’ arancia ma senza purtroppo assumere mai caratteristiche specifiche di un nuovo agrume. E non solo: i frutti che nascevano da questa pianta, come si è visto a inizio di questa storia, avevano striature di vari colori e una superficie rugosa e piena di bozzoli ed escrescenze. Il senso del gusto dei Medici, ancora legato a un senso del bello fatto di armonie e perfezione, liquidò la pianta come “bizzarra”, nell’accezione negativa del termine, e rispedì a casa gli agronomi coinvolti nella fallimentare operazione.

Eppure, quella pianta da quel giorno ha continuato a essere riprodotta, a vivere di una sua vita, seppur clandestina, in qualche giardino, per mano di qualche scrupoloso giardiniere, che ha avuto cura di una pianta speciale, diversissima da tutto.

Alla fine di questo viaggio, ora nel XXI secolo, il Bizzarria, l’essere strano, diverso, ha ritrovato un suo seppur piccolo ruolo nel mondo dei collezionisti di agrumi. Alcuni esemplari sono stati reintrodotti nelle principali ville medicee, alcuni vivai la vendono.

E quella pianta che durante il Rinascimento era stata condannata come un freak botanico, un errore, una somma di storture, di asimmetrie e di sproporzioni, oggi rappresenta un nuovo bello di cui essere orgogliosi rispetto al passato composto di storie, di passioni, di progetti visionari, di sogni umanistici, di tentativi.

Sotto questa lente, ma anche a occhio nudo, il Bizzarria è una pianta meravigliosa.

Il mitico “Mano di Buddha”