Quel cibo che solum è mio e ch’io nacqui per lui

«Venuta la sera, mi ritorno a casa ed entro nel mio scrittoio; e in sull’uscio mi spoglio quella veste cotidiana, piena di fango e di loto, e mi metto panni reali e curiali; e rivestito condecentemente, entro nelle antique corti delli antiqui huomini, dove, da loro ricevuto amorevolmente, mi pasco di quel cibo che solum è mio e ch’io nacqui per lui; dove io non mi vergogno parlare con loro e domandarli della ragione delle loro azioni; e quelli per loro humanità mi rispondono; e non sento per quattro hore di tempo alcuna noia, sdimentico ogni affanno, non temo la povertà, non mi sbigottisce la morte: tutto mi transferisco in loro». Niccolò Machiavelli

Le giornate sono ormai calde e il lavoro quest’anno non molla. Ruffino Cares è una entità che abbraccia eventi, iniziative e degustazioni quasi ogni sera. Le soddisfazioni sono enormi ma, di contro, sempre meno il tempo per la mia famiglia e la casa e la mia nuova passione: la res agricola. È una estate così. Ma la ricorderò piacevolmente, ne sono sicuro. 

Ieri sera, appunto, dopo una lunga, lunghissima sessione lavorativa, sono rientrato verso Bisarno col sole che cominciava a intimidirsi e mi sono adoprato all’annaffiatura e a vedere i frutti delle mie fatiche da ortista. A parte il solito spisciolio d’acqua che ha reso lunghissime le operazioni con la sistola, quanta gioia raccogliere le verdure giunte a maturazione: i pomodorini, costoluti, ciliegia e salentini, divenuti penne al pomodoro soffrittate con la mia cipollina di Tropea e improfumate di basilico, i miei adorati friggitelli da spadellare con un po’ d’olio, peperoncini che mi sono gustato crudi (quelli più blandi, il Bacio di Satana e l’Eureka) e le immancabili zucchine coi loro fiori. Ah, e per frutta le fragole, adesso alla seconda mandata dopo la prima di maggio. In certi momenti ritrovo quasi me stesso. È una strana sensazione di benessere, di consapevolezza, che in altri contesti, anche più gratificanti e alti, non sempre provo. Quelle verdure pochi mesi fa erano tutti semini, comprati o al consorzio agrario o alla mostra del fiore di Firenze, e ricordo lo scetticismo (legittimo, eh) di chi mi osservava riempire dei bicchierini di plastica  con del terriccio da semina, fare dei buchini non troppo profondi con la bic, chirurgicamente appoggiare il semino nell’alveo, stipare tutti i bicchierini in casa e ogni sera annaffiare, solo un po’ perché il ristagno idrico avrebbe inibito lo sviluppo. Col paniere della verdura colmo e colorato, mi è tornato in mente Machiavelli, il Machiavelli che tanto ho amato. Quando, esiliato da Firenze nella campagna chiantigiana, quell’albergaccio che poi mi avrebbe accolto nella mia prima esperienza di lavoro al Consorzio Chianti Classico, trovava ristoro spirituale solo alla sera, fra le sue carte, a studiare gli “antiqui homini”. Ecco, non che una zucchina, o i peperoncini possono offrire la stessa conoscenza delle cose dello studio degli autori, ma il benessere che ne deriva, isolandosi dallo stress del giorno, svestendosi dei panni che spesso ci costringono a essere quello che qualcuno vorrebbe si fosse, è lo stesso.