18 novembre, buon compleanno babbo

Stessa postura e sorriso.

Oggi avresti compiuto settanta anni babbo. Invece un anno fa, proprio nel giorno del tuo compleanno, una crisi respiratoria ti ha trascinato all’ospedale per circa tre settimane – strazianti, ingiuste, annichilenti, esautoranti – prima del nostro definitivo saluto, l’8 dicembre, avvenuto a casa: sei riuscito anche a congedarti a Matilde e a Costanza.

E’ passato quasi un anno. Oggi è un giorno duro, pieno di memorie che ancora non hanno le dolcezze dei ricordi ma sono pugnalate aguzze.

Vivevo il periodo più brutto della mia vita. La Laura aveva appena da poco iniziato la chemio e proprio tu in quei giorni, nei primissimi della scoperta della sua malattia, mi sostenevi, insieme alla mamma: non sapevo dove andare, come affrontare la situazione. Ricordo ancora certi giri a vuoto a radio spenta con la macchina, da solo, per le colline qua sopra. Certi ascessi di ira, i miei pugni feriti dopo averli sbattuti contro muri, porte…o le urla. Oggi, ferito, ma ancora in piedi, mi chiedo come abbia fatto a non perdermi completamente. Forse lo so. La scrittura certo, ma soprattutto la famiglia. Le bambine. La necessità di dare a loro una certa normalità. Normalità. Una parola che ho sempre aberrato. E invece è una delle mancanze più forte di te, la normalità che sapevi darmi e che mi hai dato fino all’ultimo, rasserenandomi nelle mie disperazioni, anche quando cenare da solo con le bambine era così duro, o un semplice mal di pancia di Costanza mi faceva perdere il controllo, la calma, i fragilissimi equilibri che ogni mattina, ogni sera, mi attrezzavo a mettere in piedi: “Oggi è una bellissima giornata per essere felici bambine” – “Prima di addormentarsi si fa il diario della felicità: Mati, scrivi le cose belle che ci sono accadute oggi…”.

Voglio credere che a dicembre, pochi giorni dopo il tuo decesso, ci sia stato il tuo aiuto nella prima ecografia della Laura, pulita. Da lì, da quel giorno, volenti o nolenti, ci siamo organizzati. Tutti. Io, la mamma, la Laura e le bambine. Saresti fiero di quello che ci è capitato in un anno. Molte cose le avevi intraviste, queste di quest’anno le starai vedendo da lassù. Io ho tolto dalla mia vita, per almeno un po’, il mio passato e il mio futuro. E mi sono concentrato sul presente e sui sapori, quelli buoni.

In un anno la mamma ha cambiato casa e ha trovato un piccolo gioiellino nella nostra San Francesco, vicino alla scuola delle bambine, al centro del paese, comoda per tutto. L’abbiamo arredata a modo e la casa è accogliente e confortevole, moderna e con due giardinetti. In pochi mesi abbiamo venduto la casa di Mezzana. Atti, notai, beghe, traslochi. Fatto tutto. Molte cose della casa di Mezzana vivono qui a Bisarno: ci stanno benissimo. Vivono con te. Come quando mi aiutavi con le verniciature. I lavoretti. Spazzavi l’aia. Affettavi il pane. Ti svegliavi alle 4.30 i lunedi per farmi prendere il treno quando rientravo a Milano col treno delle 5.28 (mi è tornato in mente oggi al lavoro e mi è venuto da piangere, mi sono dovuto allontanare dai colleghi). Tutte le tue premure, le tue consuetudini, le tue presenze vivono qui a Bisarno, come a casa nuova della mamma. Anche Bisarno, dopo i primi mesi di stop forzati ha continuato a farsi bella e accogliente. Le ultime scelte di arredo vanno tutte in una sola direzione: starci bene, noi e chi viene a trovarci. Accogliere ed essere nido.

Le bambine ci stanno benissimo. Stanno crescendo: ti divertiresti a vederne i progressi. Non te le sei mai fatte mancare, e questa tua presenza in vita le bambine la sentono anche oggi: spesso ti citano, si ricordano…Costanza è una piccola casinista, ma è brillante e intelligentissima. La Mati è sempre dolcissima e piena di attenzioni. Nuoto, danza, un po’ di calcio, la lettura. Vivono e crescono nel sorriso. Altro non possiamo augurare loro.

Anche la Laura si sta riorganizzando. Le donne hanno questa capacità: sono più resilienti di noi maschietti…Non ha mollato il lavoro, non ha perso brillantezza e grinta, è ancora belloccia. Certo, è ferita. Certo, è stanca dei controlli, delle terapie, della sua continua medicalizzazione. Ma chi ci dice che le cicatrici di questa storia non ci permettano una capacità di vita che spesso ad altri è preclusa? Dobbiamo vederla così, o provarci, la sua malattia: una opportunità.

E io? Boh. Di solito mi piace guardarmi dentro, giudicarmi. Questa volta faccio fatica. Ho spento alcuni sentimenti, anestetizzandomi per proteggermi: ci sono stati dei giorni, almeno fino a dicembre scorso, in cui se pensavo alla mia situazione attuale rischiavo di impazzire e mi sentivo come una falena che si schianta continuamente contro un vetro. La paura, di quello che sarebbe potuto succedere alla Laura mi immobilizzava, mi faceva girare la testa. Evitavo di pensare. Mi sono dedicato completamente a bambine, Laura e mamma, limitando alla velocità di crociera il lavoro. Ho fatto amicizia con un gatto, diventato il nostro gatto: lo avevi conosciuto anche te, Arancino.

Poi sono passati, e non so come, i mesi, e il lavoro è tornato prepotente, a riemozionarmi, a ridarmi stimoli. Da febbraio si sono aperti una serie di bivi strani, fra proposte di lavoro che mi hanno fatto vacillare e nuove responsabilità offertemi, ed è tornato il mio approccio: idee, proposte, entusiasmo…Sono convinto che ti sarebbe piaciuto vedermi all’opera con un ristorante, con Le Tre Rane, ti sarebbe piaciuto il nome, lo stile, i sapori proposti. Ci abbiamo fatto il compleanno di Maurizio, le bambine sono contentissime che il babbo “faccia il cameriere” in un ristorante. Saresti orgoglioso di tutto quello che è conseguito: la brand experience, un nuovo passo fatto in azienda, anche se avresti notato che in queste ore sono di nuovo fagocitato dal lavoro, fin troppo. Mi sono anche spogliato di certi atteggiamenti snob, anarchici e intellettualodi: quest’estate abbiamo fatto le vacanze in un’isola, Minorca, tutto mare, spiaggia e cibo, e per andarci, in traghetto, ho anche ballato latino americano insieme alle bambine gongolanti. Non mi sono fatto mancare una birra, un cibo, un tuffo, di voler bene. Questo babbo l’ho imparato nell’ultimo anno. A palesarmi di più a chi voglio bene. E’ parte del tuo carattere, solare inclusivo affettuoso, che dopo la tua morte mi sono detto che mi sarei messo addosso.

Insomma…un anno. Un anno durissimo, che non auguro a nessuno. A nessuno. Da cui sembrava impossibile uscire. Ma che in certi momenti ci ha anche fatto sentire di nuovo vivi. Ci ha fatto anche sentire bene. Quasi rinati. “Feeling like a little kid, acting like a survivor”, come canta Elton John. Buon compleanno babbo.